Oggi parleremo di hashtag e di come la linguistica riesca a trasformarli in hashtag felici o infelici. A tal proposito, lascia che ti racconti qualcosa di interessante.
Conosci la storia di Teseo e del filo d’Arianna? Te la sintetizzo a modo mio. Arianna si innamora di Teseo. Teseo deve uccidere il Minotauro. Il Minotauro è incazzato nero – poraccio, come biasimarlo? Mezzo toro, mezzo uomo, imprigionato in un cavolo di labirinto. Arianna sa che dal labirinto è praticamente impossibile uscire e dà a Teseo un filo, che possa aiutarlo a tener traccia dei suoi passi lungo i mefitici corridoi e a uscirne vivo. Grazie alla trovata di Arianna, Teseo sopravvive e, per ricompensare la ragazza di cotanta amorevole astuzia, se la porta via. Poco dopo, però, la #piantainasso.
Tu cosa leggi dentro #piantainasso?
Te lo dico io: “pianta in asso”. In realtà dovresti leggerci “pianta in Nasso”, perché è su quest’isola che Teseo, secondo la leggenda, mollò la povera Arianna. La storia di questo modo di dire, ossia “piantare in asso”, nasce da un problema di sincronizzazione linguistica.
Ogni giorno nascono centinaia, migliaia se non milioni (sto sparando a caso, eh) di hashtag. E ogni giorno il rischio di creare messaggi difficili da decodificare, come #piantainasso, è altissimo.
Dato che sono per la felicità di tutti, hashtag compresi, ho scritto un post che ti farà imparare:
- cosa vuol dire “sincronizzazione linguistica” e perché è importante ricordarsene quando si crea un hashtag;
- a evitare hashtag ambigui.
Spero che gli esempi di hashtag infelici ti facciano mettere una mano sul cuore. Sì, perché nessun hashtag merita di finire come quelli che stai per vedere – quindi male male.
Tutto un problema di sincronizzazione
Per la semiotica la lingua è un codice. Un codice che un emittente trasmette a un ricevente – quest’ultimo deve decodificarlo, se non gli dà troppo fastidio eh.
Adesso, seguimi per un minutino.
Non addormentarmiti o non capiresti il senso di questo post.
Devi pensare a una cosa: il processo di decodifica non è sempre così semplice. Questo perché la lingua può andare a comporre codici molto articolati, costituiti cioè da elementi distinti ma al contempo uniti e combinabili tra di loro. Per una corretta decodifica è necessario che l’emittente e il ricevente siano allineati. Anzi, sincronizzati.
Ricordi, no, la frase che ho usato all’inizio del post: “Poco dopo, però, la #piantainasso”? Bene. Per capire “pianta in Nasso”, ossia quello che volevo dire, e non “pianta in asso”, io emittente e tu ricevente dovevamo entrambi cogliere i confini di questi elementi messi assieme. Se questo fosse successo, ci sarebbe stata sincronizzazione; nel nostro caso, invece, siamo stati (emittente e ricevente) non sincronizzati.
Ok, fine della lezioncina super spiccia, ma necessaria, di linguistica (a proposito: un saluto a Raffaele Simone, mio professore universitario).
Forse adesso vuoi sapere perché ti ho dovuto spiegare quello che ti ho spiegato. Bene. Te lo dico.
Hashtag e sincronizzazione. Che c’azzecca?
Ho appena finito di spiegarti in cosa consiste il processo di sincronizzazione tra emittente e ricevente. L’ho fatto perché ogni volta che andiamo a creare un hashtag, per un evento, un’iniziativa, un progetto, un brand, rischiamo di ritrovarci impantanati in una comunicazione asincrona.
A questo punto dovresti già aver intuito qualcosa.
Per farti capire l’importanza della sincronizzazione nella creazione di un hashtag, guarda gli esempi qui sotto. Sono certa capirai alla perfezione il significato di “hashtag infelice”.
#Pompeinrete. Hashtag infelice, ma godereccio
Il nome di un progetto può diventare un hashtag. Come è successo al progetto Pompeinrete, voluto dal Comune di Pompei per la promozione e la valorizzazione del territorio.
Non basta inserire il grassetto per suggerire la corretta lettura. Prendendo il nome del progetto e inserendolo all’interno di un hashtag, proprio come è stato fatto, non c’è modo infatti di grassettare. Risultato? La demarcazione tra gli elementi viene meno e si leggono fischi per fiaschi – diciamo così.
#Pompeinrete è, senza ombra di dubbio, un hashtag infelice. Godereccio, ok, ma infelice.
#Powergenitalia. AAA cercasi underscore
Ragionare non solo in funzione della sincronizzazione linguistica, ma anche tenendo conto delle lingue straniere. Non un consiglio, questo, ma un obbligo.
Il caso Powergen Italia ha fatto scuola col nome dominio e con l’hashtag. Se in italiano la componente ambiguità non è così palese, in inglese a leggere l’hashtag #powergenitalia c’è di che ridere. Sì, perché un anglofono demarca in maniera del tutto diversa dalla nostra i confini tra gli elementi che compongono l’hashtag. Per lui il confine demarcatorio è posto tra Power e Genitalia (neutro plurale latino).
Risultato? Power Genitalia. Genitali potenti.
@MarcherLord1 @TartanTory Have these people not heard of underscores? Italian energy supplier #powergenitalia
— Don Stuart (@don_stuart) 8 Marzo 2015
In questo caso sarebbe bastato aggiungere un underscore. Ma qui, ragazzi, il problema è a monte: non è tanto nell’hashtag o nel nome dominio, quanto nel nome aziendale.
Amen.
#Pharrellshat. Un hashtag che fa ca*are
Facciamo un tuffo nel passato. Siamo negli Usa, nel 2014. È la 56esima edizione dei Grammy Awards e l’estroso cantante Pharrell Williams ha deciso di indossare un cappello orendo.
This town ain’t big enough for the both of us. This hat though. #PHARRELLSHAT pic.twitter.com/EtlaeeOQqv
— Jimmy Håkansson (@jhawkansson) 20 Febbraio 2014
La rete si scatena e nasce un hashtag (twittato 80 mila volte) dedicato al cappello di Pharrell: #pharrellshat. Dovrebbe esser letto così: Pharrell’s hat. Peccato che i confini demarcatori, non essendo univoci, possano esser posti altrove, creando un hashtag infelice a tutti gli effetti. Si può infatti leggere Pharrell’s hat, così come pure Pharrell shat. “Shat” è il passato remoto del verbo “shit” e significa, ehm, significa “ca*are”.
Ecco, forse quest’hashtag più che essere infelice, fa ca*are come il cappello del cantante. L’ho detto.
Come evitare hashtag infelici. Ricapitoliamo
Vera Gheno, Twitter manager dell’Accademia della Crusca, mi ha regalato – e quindi ti ha regalato – un prezioso contributo, con qualche informazione in più sull’argomento. Vera ci ricorda che “la segmentazione della catena prosodica dipende solo dalla conoscenza della lingua. Cioè parliamo sempre senza definire lo stacco tra una parola e l’altra, per cui ricostruiamo i limiti di parola solo a posteriori, quando acquisiamo conoscenza di quella lingua”. Sempre lei, sempre Vera, mi segnala un bel pezzo di Don Milani sulla “aradio”, tratto da Senza distinzione di lingue.
Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: «Non si dice lalla, si dice aradio». Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. «Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua». L’ha detto la Costituzione pensando a lui. Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione…
Adesso sai qualcosa in più su importanti questioni linguistiche e sulla nascita di hashtag infelici. Ora, onde evitare di farti diventare l’ennesimo ideatore di hashtag col muso, ricapitoliamo cosa fare prima di lanciarne uno sui social:
- Quando crei un hashtag, leggilo mettendoti nei panni del ricevente. Gli elementi che compongono l’hashtag possono essere letti in più modi, creando più messaggi, o la cesura tra gli elementi è chiara e univoca?
- Se i confini demarcatori delle parole che compongono l’hashtag sono labili, hai due opzioni: usa l’Altobasso (es.: #PiantaInAsso); usa l’underscore per una demarcazione più netta (es.: #Pharrels_Hat).
- Ricordati di leggere e interpretare l’hashtag creato anche in altre lingue. Non aver fretta. Mai.
Ogni giorno un hashtag si sveglia e sa che potrà diventare infelice. Ogni giorno tu ti sveglierai e lo rassicurerai. Perché lo farai, vero?
Mi raccomando: tratta i tuoi hashtag con cura e… sincronizzazione.