Scrivere una pagina Chi siamo a prova di sbaDIglio

Scrivere una pagina Chi siamo a prova di sbaDIglio

Le pagine relative al “Chi siamo” sono tra le più visitate nei siti web, ma sono anche quelle da cui più spesso le persone fuggono. Complici i testi o una struttura oscuri, noiosi e poco invitanti, quella che potrebbe essere un’opportunità per stabilire un collegamento con le persone viene puntualmente sprecata. Qui ti parlo di errori da non commettere quando ti occupi della progettazione di un profilo aziendale, ti mostro esempi positivi e ti do alcune dritte utili per scrivere una pagina “Chi siamo” che non faccia sbadigliare.

“Chi vuoi che venga a guardare la pagina Chi siamo?”

Disse l’azienda X senza controllare le analitiche. Chi lo fa, invece, chi si prende la briga di dare una sbirciatina ai dati sul traffico del sito, potrebbe ritrovarsi di fronte a una bella sorpresa. Tipo scoprire che la pagina “Chi siamo” è una delle più visitate. Attenzione, però, perché il SEO informa anche del fatto che, di solito, è una pagina che genera un alto tasso di abbandono.

Le persone arrivano ed escono in una manciata di secondi come fossero rimaste incastrate in una porta girevole. Questa fretta di andar via, tra l’altro, non piace un granché a papà Google. Anzi, per niente!

Ma cos’è che fa fuggire le persone? Non so tu, ma uno dei motivi per cui io fuggo dalle pagine “Chi siamo” risiede nella prima prima riga di testo che leggo. È quel maledetto “Azienda X è nata nel 199…”.

Yawn! Datemi un caffè!

Di quella frase soporifera me ne ricordo quando sono io la copywriter e devo scrivere il testo per una pagina “Chi siamo”. So che ogni volta che una persona va via sbadigliando, l’azienda perde l’opportunità di avvicinarsi al suo pubblico e far crescere conoscenza del brand, fiducia, reputazione e coinvolgimento.

Tra i tanti errori che possiamo commettere mentre scriviamo un profilo aziendale, ne ho selezionati 2 che portano il rischio sba(di)glio alle stelle.

Vediamoli.

Pagina “Chi siamo”. 2 errori ed è subito sba(di)glio

Startup, veterana, sconosciuta, affermata, piccola, media, grande. Non c’è azienda che possa permettersi di eliminare dal menù del proprio sito web la pagina “Chi siamo”.

Perché non puoi sapere chi c’è dall’altra parte dello schermo: un prospect, un prosumer, un giornalista, un influencer, un possibile partner o investitore alla ricerca di informazioni sul tuo business. Dentro la sezione “About” abbiamo la possibilità di parlare a tutte queste persone.

È il come lo facciamo, però, che trasforma o meno la scrittura in comunicazione.

No papielli, please!

Dicesi papiello quel testo complesso e incomprensibile che non comunica proprio nulla del brand al lettore – ammesso che lo si convinca a leggere.

I papielli possono trovarsi in qualsiasi parte del sito, ma chissà perché nella sezione “Chi siamo” dilagano imperterriti: fiumi di parole anonime (efficienza, efficacia, professionalità), triti anglicismi (know-how, skill, expertise), aziendalese da brividi, ampollosità. Il tutto per lo più impegnato a montare illeggibili prosopopee.

Perché si finisce con lo scrivere papielli? Due evergreen:

  • si vogliono dire tante cose (troppe), spesso ridondanti;
  • si tende a descrivere l’azienda attraverso concetti generici e poco rappresentativi (professionalità. Chi non dice di averne? O chi dice di non averne?), con tanta filosofia e pochi fatti (numeri, case history, menzioni, testimonianze, ecc.).

A ogni problema, una soluzione.

Hai presente quel magnifico documento che chiamiamo brief? Ecco, prendi un bell’evidenziatore e fai una selezione delle informazioni salienti, quelle utili (tipo di azienda, dati relativi alla storia e alla struttura, target) e quelle ispirazionali (relative a mission, vision, valori).

Ora prova a stendere una bozza grezza, un testo breve, di due capoversi al massimo, in cui inserire le informazioni organizzate con il metodo delle 5 W.

Avrai fatto un buon lavoro se alla rilettura emergerà un profilo:

  • unico, che non sembri il ritratto di ennemila altre aziende;
  • chiaro, e per questo ti serve testare con uno o più lettori volontari (sveglia la collega a fianco a te con un caffè e il tuo testo);
  • completo, quindi sottoponi al cliente e chiedigli se ci si rispecchia, se si sente rappresentato.

Se il tuo giudizio e quello del lettore e del cliente sono unanimi e positivi, vorrà dire che in quel testo c’è tutto il necessario. Potresti anche usarlo come introduzione, oppure smontarlo e trarne i vari paragrafi del testo.

A proposito della nostra lotta al papiello, voglio portarti come esempio il profilo aziendale di Google.

esempio sezione About Google

Dal punto di vista visual non c’è niente di accattivante in questo profilo, ma ho apprezzato la sinteticità e la chiarezza con cui viene comunicata la mission, un piccolo capolavoro di copywriting.

Da notare: nella schermata c’è tutta la storia di Google, organizzata in fruibili tab titolate, con i fatti salienti racchiusi in un box. Per chi volesse scendere nei dettagli, c’è un link apposta. Vedi papielli? No. Eppure Google ne avrebbe di cose da dire, ma qualcuno si è occupato di fare una selezione. Bravi!

Dalla sezione “About” di Google, e più di preciso dalla pagina “In cosa crediamo”, possiamo trarre un’altra considerazione: il papiello è sempre un testo lungo, ma non tutti i testi lunghi sono papielli. Guarda qui:

Filosofia Google

Si tratta di quella sezione altrimenti detta “Filosofia”, una di quelle in cui il rischio papiello è elevatissimo. Qui, però, troviamo un testo lungo, sì, ma dal contenuto rilevante e pertinente rispetto all’azienda, ben strutturato (care vecchie liste numerate!), e ben scritto, a partire dalla piccola introduzione.

“Abbiamo scritto per la prima volta queste ‘10 verità’ a pochi anni dalla fondazione di Google. Di tanto in tanto rivediamo questo elenco per verificare se è ancora attuale e veritiero. Speriamo che lo sia e tu puoi aiutarci a mantenere questo impegno”.

Veniamo alla questione numero due, ossia la tendenza a parlare di concetti in modo fumoso e poco concreto. Risolvi così.

Sempre nel magnifico brief, è quasi certo troverai parole e concetti che l’azienda vuole far risaltare.

A volte la cosa è dichiarata (il cliente scrive: vogliamo dire questo e quest’altro), a volte tocca a te trarre dal sacco le parole o i concetti chiave. Piccolo trucco, una parola che si ripete più volte nel brief è con molta probabilità una parola chiave. Magari, così come sono, quelle parole e quei concetti non dicono ancora nulla di specifico, ma tu li riempirai di significato. Come? Con i fatti.

Qualche esempio:

No
Azienda X rispetta l’ambiente. Per noi fare innovazione significa anche prendersi cura del mondo in cui viviamo.


Azienda X rispetta l’ambiente. Sostituiti gli archivi cartacei con quelli digitali, abbiamo risparmiato X chili di carta all’anno.

No
Il nostro obiettivo è offrire servizi davvero efficienti, che soddisfino al 100% le aspettative dei clienti.


I nostri servizi hanno ricevuto nell’ultimo anno il 92% di feedback positivi.

No, no e no!
Siamo i leader del settore.


Guarda cosa dicono di noi: [menzioni del brand su riviste].

No alle iper-strutture oscure

Quando ci sono più pagine, la sezione “About” diventa un sito dentro il sito, e la sua usabilità deve essere curata e possibilmente testata. In questo contesto, il tuo dovere di copywriter è anche quello di guidare il cliente verso una selezione dei contenuti.

Perché spesso si vorrebbe dire tutto e più di tutto attraverso i testi del sito. Ed ecco che l’albero del “Chi siamo” inizia a crescere, diventa iper-ramificato, e i contenuti si allontanano sempre più dalle persone, diventano oscuri, fin dal nome delle voci menu, via via più astruse. In una struttura ragionata, invece, l’albero non ha rami secchi: il lettore non fa fatica a orientarsi e ha come punto di riferimento una pagina principale con le informazioni più importanti, che gli danno una panoramica sull’azienda.

Nel progettare l’“About”, chiediti cosa vuoi far emergere dell’azienda. Non c’è un numero preciso di pagine.
Pensa alle possibili personas che possono avere a che fare con questa sezione, e crea le pagine per loro, non per l’azienda.

Pensa a quegli obiettivi della comunicazione che ho citato all’inizio dell’articolo: conoscenza, fiducia, reputazione, coinvolgimento.

Pensa, infine, che Mister G. mal tollera (e penalizza!) siti pieni di pagine di bassa qualità e bassa utilità, qualità e utilità che vengono valutate da Google Panda, che – notizia di pochi giorni fa – è stato inserito nell’algoritmo principale.

Qui sotto vedi tre sezioni “Chi siamo” molto diverse tra loro ma accomunate da una progettazione a mio parere razionale.

Moz
esempio sezione About

Salesforce
struttura Chi siamo Salesforce

Nielsen Norman Group
sezione About Nielsen Norman Group

Nessun eccesso. Voci comprensibili, a parte quel “TAGFEE” di Moz che rappresenta la pagina “Valori” (ma ci possiamo arrivare guardando l’icona a forma di cuore).

Ehi, ci sei?

Se sei arrivato fin quaggiù, complimenti, sei appena entrato a far parte della categoria “lettori agguerriti”. 😀

Allora, ricapitoliamo. Nella pagina/sezione “Chi siamo”:

  • no papielli;
  • no iper-strutture.

Ti vengono in mente altri errori da sbadiglio o best practice per scrivere la pagina “Chi siamo”? Condividi le tue riflessioni nei commenti.

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