Diciamo la verità: che si tratti del colore della nuova macchina o della scuola dei propri figli, della meta del prossimo viaggio o del nuovo smartphone, scegliere è una delle attività che richiede più sforzo ed energia.
Fare una scelta di fronte a una serie, a volte infinita, di opzioni, ci mette in crisi: può accadere in un luogo fisico, davanti a uno scaffale straboccante di prodotti molto simili tra loro, ma anche online, quando dobbiamo scegliere tra una molteplicità di offerte.
In questo post voglio parlarti di quanto sia importante per un professionista della comunicazione saper costruire un ambiente di scelta che faciliti e guidi il processo decisionale delle persone.
Gli studi degli ultimi anni delle neuroscienze ci hanno infatti consegnato un dato certo: il modo in cui presentiamo un’offerta influisce sulla scelta.
C’è anche un altro dato comune alle numerose ricerche fatte sul campo: il cervello umano tende a risparmiare energia e a voler fare la scelta migliore minimizzando lo sforzo del processo decisionale.
In quest’ottica diventa fondamentale focalizzarsi sull’architettura delle scelte, per renderle più semplici per le persone e migliorare la loro esperienza, il loro coinvolgimento nel processo decisionale, la loro soddisfazione post scelta.
Costruire un ambiente di scelta significa, tra le altre cose, decidere il numero di opzioni disponibili, la loro posizione, l’ordine in cui si presentano, le leve sulle quali puntare per orientare il processo decisionale.
C’è una teoria che ha dato un contributo importante all’architettura della scelta: è la teoria dei nudge. Per spiegarti cosa sono i nudge, devo fare un passo indietro fino al 2008. Seguimi.
La “spinta gentile”: la teoria dei nudge
Nel 2008 i ricercatori Richard Thaler e Cass Sunstein pubblicarono il libro Nudge. Improving decisions about health, wealth, and happiness, tradotto in Italia con Nudge. La spinta gentile.
Tutto nasce dalla ricerca delle neuroscienze e delle scienze cognitive e comportamentali, che hanno evidenziato che il nostro cervello decide sulla base di 2 sistemi:
- 1. Un sistema riflessivo, basato sulla razionalità, sul ragionamento deduttivo, sulle regole della logica. Si tratta di un sistema lento, che consuma molta energia.
- 2. Un sistema automatico, di cui non siamo consci, basato sull’istinto, sulle associazioni. Si tratta di un sistema rapido, che consuma poca energia.
Ricordi quanto ho scritto poco fa? Il nostro cervello tende a voler risparmiare energia, per cui nella valutazione delle opzioni, anche in ambiti molto delicati come la salute o la propria situazione finanziaria, le persone non basano le proprie decisioni solo su una base razionale, ponderando attentamente le conseguenze di ciascuna scelta.
Al contrario: sono fortemente influenzate da istinto, emozioni, bias cognitivi, cioè distorsioni della valutazione basate su preconcetti.
Ti faccio un esempio lampante, che cito anche nella mia lezione all’interno di Copy42 WEB.
Uno dei più potenti bias cognitivi è l’opzione di default.
Pensiamo al caso della donazione degli organi. In alcuni Paesi esiste un sistema di opt-in, per cui un cittadino deve esprimere attivamente il consenso alla donazione. Senza il consenso esplicito, non è possibile espiantare i suoi organi dopo la morte.
In altri Paesi vige invece un sistema di opt-out, per cui tutti i cittadini, sin dalla loro nascita, sono “di default” donatori di organi. Solo se esprimono esplicitamente il loro dissenso diventano non donatori.
Ebbene, in questi ultimi Paesi, come l’Austria, il tasso di donazione degli organi viaggia intorno a valori decisamente più alti rispetto a nazioni in cui occorre un’azione specifica dei cittadini per modificare la situazione di partenza, come nel caso dell’Italia.
La libertà di scelta non è stata toccata, non sono stati imposti divieti né obblighi: il cittadino è rimasto libero di scegliere, ma è stato “spinto” verso una scelta che è un beneficio per l’intera comunità. Ecco cos’è il nudge. Chiaro il messaggio?
Ora, se l’opzione di default funziona quando si tratta di donare gli organi, a maggior ragione può funzionare su decisioni di gran lunga meno importanti, come quelle che facciamo ogni giorno quando acquistiamo qualcosa online.
Un esempio su tutti? Il rinnovo automatico di un abbonamento a un servizio. Nella maggior parte dei casi, questa opzione è quella di default, per cui l’utente deve attivarsi (anche semplicemente deselezionando una casella) per disattivare questa funzione. Usando il rinnovo automatico come opzione di default, le aziende traggono molti benefici dall’inerzia e dalla pigrizia dei loro utenti.
4 tecniche per una scelta felice
Sheena Iyengar è docente e ricercatrice della Columbia Business School: è considerata una delle maggiori esperte in ambito di meccanismi alla base della scelta. In un suo intervento al TED del 2011, suggerisce 4 tecniche per costruire un ambiente di scelta che renda più semplice la decisione da parte dell’utente e che lo faccia sentire soddisfatto. Vediamo quali sono.
1. Cut.
Il numero delle opzioni da sottoporre all’utente è uno dei primi elementi che un’azienda deve stabilire.
Arriviamo subito al punto: sulla base di numerosi esperimenti sul campo, è emerso che ridurre il numero di opzioni paga. Sì, perché se è vero da un lato che avere tante opzioni ci dà l’impressione di avere più libertà di scelta e maggiore controllo su di essa, è altrettanto vero che troppe opzioni pongono sotto stress la parte automatica del nostro cervello, quella che tende a risparmiare energia.
Scegliere tra diverse opzioni presuppone comprenderne il contenuto e capirne le differenze: se le opzioni sono troppe, si attivano meccanismi come il timore di fare la scelta sbagliata, il rimpianto per le opzioni non scelte. Questi meccanismi influiscono negativamente sull’esperienza della scelta e, in alcuni casi, portano a una non scelta, quindi a un mancato acquisto.
In base alle ricerche, sovraccaricare di opzioni una scelta riduce il coinvolgimento dell’utente, la qualità della sua decisione, il suo livello di soddisfazione.
Ridurre il numero di opzioni ha portato benefici, ad esempio, alla Procter & Gamble per il prodotto per capelli Head & Shoulders: riducendo il numero di prodotti da 26 a 15, l’azienda ha registrato un aumento del 10% delle vendite.
Qual è quindi il numero di opzioni ottimale? Non esiste una regola valida sempre e ovunque, (molto dipende dal tipo di prodotto e dal livello di competenza dell’utente) ma l’esperienza sul campo indica un range che va da 3 a 5 opzioni al massimo.
Il numero 3, in effetti, ricorre molto spesso nella costruzione di un’offerta. Il quotidiano francese Le Monde opta proprio per la tripartizione della sua offerta di abbonamento.
Oppure nel sito di uno dei più grandi archivi di immagini e video, Getty Images.
O ancora nel caso del provider di web hosting Siteground, giusto per fare qualche esempio.
2. Concretize.
Per scegliere un’opzione invece che un’altra, dobbiamo saper riconoscere le differenze tra le diverse opzioni e le conseguenze che derivano dalla nostra scelta.
Per facilitare questo processo, un buon comunicatore deve rendere il più possibile chiare e concrete le differenze tra le opzioni. Come? Mettendole a confronto, sulla base di una griglia di elementi. Ritorniamo a Le Monde, per mostrare un esempio.
Oppure come fa SiteGround. Il concetto è chiaro: occorre semplificare il più possibile il processo decisionale e rendere più agevole la scelta dell’utente.
In tema di concretizzazione, sono molto efficaci inoltre le simulazioni: è il caso di diversi siti automobilistici, che permettono di configurare la propria auto dei sogni e vederla nel colore e con gli allestimenti preferiti.
3. Categorize.
La terza tecnica suggerita dalla Iyengar per facilitare il processo di scelta è quella di creare categorie.
Realizzare categorie è una tecnica molto efficace soprattutto quando esiste una grande varietà di prodotti tra cui scegliere.
Un esperimento condotto dalla Iyengar ha messo a confronto due differenti organizzazioni all’interno di un’edicola:
- da un lato, 600 magazine venivano divisi in 10 categorie;
- dall’altro, 400 magazine venivano divisi in 20 categorie.
Il risultato? Gli utenti avevano la percezione di avere maggiore scelta nel secondo caso, anche se di fatto il quantitativo di riviste era di gran lunga minore.
Il sito di Nespresso usa questa stessa tecnica per organizzare la vasta gamma di cialde di caffè. Non solo: il visitatore è invitato a conoscere la varietà dell’offerta, usando filtri per intensità, per dimensione della tazza, per profilo aromatico.
La configurazione dell’offerta ci dice molto anche rispetto al target a cui parla l’azienda. In questo caso, il brand si rivolge a un profilo esperto, con un livello medio-alto di competenza, tanto da saper riconoscere nel caffè note speziate da note legnose.
Ultima nota rispetto alla tecnica della categorizzazione: i nomi delle categorie devono dire qualcosa in più a chi le sceglie, non devono essere autoreferenziali. Un esempio?
La schermata che segue indica 2 categorie di gioielli: Jazz e Swing. Questi 2 nomi non apportano alcuna informazione rilevante ai fini della scelta, per cui risultano inutili. (L’esempio è citato dallo speech della Iyengar al TED).
4. Condition.
Quarta e ultima tecnica suggerita è condizionare la complessità, per rendere più fluido il processo decisionale.
Quando un prodotto o un servizio hanno un alto grado di personalizzazione e quindi necessitano della scelta di numerose variabili da parte del pubblico, è opportuno tenere presente un principio di base: si comincia dalle scelte più semplici (con poche opzioni) per poi proseguire con scelte più complesse (con tante opzioni).
Il flusso della scelta deve essere in altre parole LOW TO HIGH.
In questo modo, prepariamo l’utente alla scelta, lo abituiamo gradualmente. Nei processi LOW TO HIGH il cliente si sente più motivato e tende a rimanere nel processo decisionale, anche se prevede numerosi step.
Viceversa, nei flussi HIGH TO LOW, tende ad abbandonare il processo perché sovraccaricato da scelte troppo complesse all’inizio del suo percorso.
Facciamo un esempio, entrando nel configuratore di auto di Volkswagen.
La prima scelta è solo tra 2 opzioni e riguarda la motorizzazione.
Il secondo step riguarda la scelta del colore e prevede 9 opzioni, divise però in 3 categorie: colori pastello, colori metallizzati, colori perlati.
Seguono gli step che riguardano la scelta degli interni (4 opzioni), degli optional (10 opzioni) e dei cerchi (10 opzioni divise in 4 categorie), in un crescendo di complessità.
Gli esperimenti condotti sul campo, proprio in ambito automobilistico, hanno dimostrato che invertendo l’ordine delle domande e anteponendo quelle più complesse a quelle più semplici (in una logica HIGH TO LOW), il tasso di abbandono è più alto.
Le domande sono uguali, ma poste in un ordine diverso. Ecco un altro nudge.
Quest’ultimo esempio ci dimostra che un numero elevato di opzioni non è necessariamente un elemento peggiorativo del processo decisionale. Non si tratta solo della quantità delle opzioni, ma della qualità con la quale le opzioni sono ordinate e organizzate.
Il tema dell’architettura delle scelte è immenso e affascinante: qui ho voluto darti degli spunti e delle tecniche da usare per rendere un ambiente di scelta pulito ed efficace. Ti lascio alcune fonti da cui potrai approfondire l’argomento, se vorrai. Buona scelta!
Ted talk di Sheena Iyengar, novembre 2011.
Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità. R. Thaler, C. Sunstein.
The Art Of Choosing: The Decisions We Make Everyday of our Lives, What They Say About Us and How We Can Improve Them. S. Iyengar.
Pensieri lenti e veloci. Daniel Kahneman.