Silenzio.
È questo che troppi brand scelgono quando decidono di rinascere. Cambiano logo, ridisegnano la loro identità, rivoluzionano il posizionamento. E poi? Silenzio. Si comportano come se un rebranding potesse raccontarsi da sé, come se il pubblico dovesse intuire, comprendere, accogliere senza essere guidato.
No, non funziona così.
Un rebranding senza un piano strategico di comunicazione è rischioso. Poiché ciò che non viene raccontato, il più delle volte non viene compreso. E ciò che non viene compreso, spesso non viene accettato.
Dopo aver capito che cos’è un rebranding, approfondiamo quindi una fase imprescindibile di questa delicata operazione strategica: la comunicazione del rebranding.
Perché la maggior parte dei rebranding fallisce nella comunicazione
I numeri parlano chiaro. Il 42% dei marketer indica la comunicazione come la sfida principale quando si tratta di rebranding (fonte: Biggest tech rebrands of 2024: What they teach us about brand strategy & identity). Non il budget, non il design, non la strategia: la comunicazione.
Eppure, nonostante questa evidenza, molti brand continuano a commettere gli stessi errori quando affrontano un rebranding. Tre, in particolare, sono fatali.
Errore 1 nel rebranding: Non comunicare affatto
Il silenzio è il primo nemico. Molti brand cambiano identità senza spiegare perché, senza preparare il terreno, senza accompagnare il pubblico nel rebranding. Il risultato? Spaesamento, diffidenza, rifiuto.
Gap ha fatto esattamente questo con il redesign del 2010: ha presentato un nuovo logo senza una narrazione che giustificasse la scelta. La risposta del pubblico è stata immediata e feroce. E sei giorni dopo, il logo è tornato quello di prima.

Errore 2 nel rebranding: Cambiare senza costruire continuità
Cancellare il passato per abbracciare il futuro. Sembra coraggioso, ma a meno che non ci sia a monte una ragione strategica, può diventare temerario.
Troppi brand presentano nuove identità come una rottura totale: via il vecchio, benvenuto il nuovo. Nessun ponte, nessuna transizione, nessun filo conduttore. Il risultato? I clienti non riconoscono più il brand che amavano. E quando non riconoscono, non comprano.
È quello che è successo a Tropicana nel 2009. L’azienda ha ridisegnato il packaging eliminando tutti gli elementi distintivi che i consumatori identificavano a colpo d’occhio: l’arancia con la cannuccia e il prominente logo orizzontale. Al loro posto, un design minimalista.

Qui una lezione importante: i brand asset distintivi non si toccano senza un motivo solido. E se si toccano, bisogna accompagnare il pubblico attraverso la trasformazione con un piano di comunicazione ben orchestrato.
Errore 3 nel rebranding: Ignorare la componente emotiva
Ignorare il legame emotivo che i clienti hanno con il brand è un errore imperdonabile.
Nel 2012, JCPenney ha lanciato un rebranding radicale: dal nuovo logo (da “JCPenney” a “jcp”) a negozi rinnovati con un’estetica in stile Apple. Come se non bastasse, il CEO Ron Johnson ha eliminato tutte le promozioni sostituendole con prezzi fissi (bassi) senza offerte, senza considerare cosa significassero gli sconti per i clienti affezionati. Non si trattava infatti solo di prezzi: le clienti storiche di JCPenney – principalmente donne della classe medio-bassa – vivevano la ricerca di occasioni come un’esperienza gratificante. L’azienda non ha comunicato (né compreso) questo aspetto emotivo fondamentale. Il risultato? Un crollo delle vendite del 25% in un anno e la perdita irreversibile di clienti fedeli.
Cosa deve contenere il messaggio di un rebranding?
Quando si parla di comunicare un rebranding, la prima domanda da porsi non è come, ma cosa.
Un rebranding autentico è espressione di un’evoluzione profonda: nuovi valori, nuova visione, nuovo posizionamento. E questa evoluzione deve essere raccontata con precisione chirurgica, consapevolezza e coinvolgimento.
Il messaggio che comunica il rebranding deve rispondere a tre domande fondamentali:
- Perché stiamo cambiando?
È il cuore della narrazione. Può essere un’evoluzione naturale, un cambio di mercato, una fusione, un nuovo purpose. Qualunque sia la ragione, deve essere chiara. - Cosa resta e cosa cambia?
Le persone hanno bisogno di continuità. Devono sapere che, anche se il brand si trasforma, ciò che le ha fatte affezionare rimane intatto. Questo è il ponte tra passato e futuro. - Cosa significa per chi ci segue?
Ogni stakeholder vuole sapere: “Cosa cambia per me?”. Per i clienti, per i dipendenti, per i partner. Il rebranding deve parlare anche a loro.
Chiarito il “cosa” si può passare al “chi”.
A chi comunicare (e in quale ordine) il rebranding
La comunicazione di un rebranding non è un annuncio broadcast indifferenziato. È una strategia articolata che deve rispettare priorità precise.
Il primo pubblico: il team interno
Non esiste trasformazione che possa funzionare se chi lavora per la marca non conosce, comprende e abbraccia il cambiamento. Per questo la comunicazione interna deve essere chiara, trasparente, efficace.
In particolare, è importante:
- raccontare le motivazioni profonde del rebranding – strategiche, valoriali, di posizionamento;
- spiegare il percorso compiuto, chi vi ha preso parte, quali ostacoli sono stati superati;
- illustrare come la nuova identità influenzerà il lavoro quotidiano delle persone.
La comunicazione interna deve:
- Avvenire prima di qualsiasi annuncio pubblico.
- Coinvolgere attivamente il team (non solo informare).
- Fornire strumenti concreti per raccontare il rebranding.
Solo così chi vive il brand ogni giorno può diventare il suo primo e più credibile ambasciatore.
Poi: la comunicazione esterna
Una volta che il team è preparato al rebranding, si può guardare fuori. Ma anche qui, non tutti gli stakeholder sono uguali:
- I clienti esistenti vanno rassicurati. Sono quelli che hanno costruito il successo del brand e vogliono sapere come il cambiamento influirà sul loro rapporto con la marca.
- I prospect devono comprendere cosa rende il brand diverso e perché ora è il momento giusto per sceglierlo.
- Gli influencer hanno bisogno di una narrazione ben costruita per amplificare il messaggio.
- Partner e stampa richiedono una narrazione più articolata, fatta di dati, visione strategica e dettagli concreti.
Come comunicare un rebranding: un framework strategico in 4 fasi
Comunicare un rebranding richiede metodo. Non improvvisazione, non intuito, non speranza. Metodo.
Fase 1: Preparazione (prima del lancio)
Il rebranding va preparato, costruito, nutrito di piccole anticipazioni per generare attesa e curiosità. Va trasformato in un evento.
Cosa puoi fare:
- Teaser che mostrino dettagli della nuova identità senza svelare troppo.
- Dirette o contenuti live in cui il team racconta il lavoro dietro le quinte.
- Contenuti behind the scenes, come post o newsletter che accompagnino le persone dentro la trasformazione.
Errore da evitare: lasciare trapelare informazioni in modo disordinato. Devi sempre mantenere il massimo controllo sulla narrazione.
Fase 2: Annuncio (il momento del lancio)
Il giorno X. Il momento in cui il brand si svela nella sua nuova forma.
Cosa fare:
- Comunicare su tutti i canali per evitare disallineamenti.
- Usare uno storytelling potente che connetta emotivamente.
- Includere sempre il perché dietro il cambiamento.
- Mostrare continuità tra vecchio e nuovo.
Un esempio?
Non: Abbiamo una nuova identità!
Ma: Ci siamo evoluti per riflettere chi siamo diventati. Ecco cosa è cambiato e cosa resta invariato, da sempre.
Fase 3: Spiegazione (subito dopo il lancio)
Nelle ore e nei giorni successivi all’annuncio, il brand deve essere presente, reattivo, disponibile.
Cosa fare:
- Rispondere alle domande e ai commenti (anche critici).
- Pubblicare contenuti di approfondimento: dietro le quinte, interviste, video, dettagli della nuova identità.
- Mantenere coerenza visiva e verbale su ogni touchpoint.
Canali strategici:
- Email ai clienti esistenti.
- Social media.
- Comunicati stampa per media verticali.
- Landing dedicata sul sito web.
Fase 4: Consolidamento (nelle settimane successive e per sempre)
Il rebranding non finisce con l’annuncio. Deve sedimentarsi, entrare nella quotidianità, diventare la nuova normalità.
Cosa fare:
- Continuare a raccontare il brand attraverso contenuti autentici.
- Monitorare sentiment e feedback per aggiustare il tiro, se necessario.
- Celebrare i risultati e i traguardi raggiunti con la nuova identità.
Il rebranding è una promessa. La comunicazione ne è la prova.
Un brand può cambiare identità visiva, può ridefinire il posizionamento, può evolvere in mille modi. Ma se non comunica questo cambiamento con chiarezza, strategia e umanità, rischia di perdere tutto ciò che ha costruito.
La comunicazione del rebranding è parte del processo. È una seconda occasione per raccontare chi sei. Stavolta, fallo bene.
























