Stupiscilo, intrattienilo, emozionalo e fallo ridere. Sii chiaro, semplice e umano, gestisci i momenti di crisi senza perdere le staffe, mostragli la tua personalità e fatti ricordare. Solo così il tuo lettore si innamorerà di te.
Non guardarti intorno spaesato, non sei finito per sbaglio in un blog dedicato ai rapporti di coppia e io non sono qui per darti consigli sentimentali. In questo post ho collezionato dei consigli che riguardano la scrittura e la comunicazione più in generale. Lascio subito la parola ai professionisti che hanno voluto regalarceli.
Mostragli la tua personalità. Il consiglio sul TOV di Valentina Falcinelli
Per trovare il consiglio che cerchi alle volte devi perlustrare ennemila blog, libri e manuali, girare in lungo e in largo per partecipare a convegni, corsi e workshop. Altre volte, quando sei più fortunato, il consiglio che cerchi è vicino a te. Da quando lavoro a Pennamontata, Valentina Falcinelli me ne ha regalati diversi. Tra i tanti, mi ha insegnato una cosa molto difficile: far parlare i testi attraverso la scelta di un tono di voce che trasmetta personalità. È fondamentale per essere ricordati.
Valentina, come si fa a capire se abbiamo scelto il tono di voce giusto per la nostra azienda? C’è un modo per misurare la sua efficacia?
Il tono di voce deve allinearsi con gli obiettivi aziendali. Se abbiamo intenzione, per esempio, di attirare l’attenzione di un target alto spendente di età compresa tra i 50 e i 60 anni, sceglieremo un tono di voce consono. Da cosa ci renderemo conto della sua efficacia? Per prima cosa, noteremo una buona profilazione in entrata del target. Vale a dire che ci contatterà il pubblico che desideriamo arrivi a noi (quindi quel famoso target alto spendente di 50/60 anni). In secondo luogo, potremmo ricevere feedback positivi sulla nostra comunicazione – feedback spontanei o frutto di un sondaggio creato appositamente.
Fallo emozionare. Il consiglio di Matteo Rizzato
Emozionare. Eh, emozionare è una bella sfida. Una sfida che si gioca tutta sul piano della congruenza emotiva, ossia di come le emozioni che vuoi suscitare siano allineate oppure no a chi ti legge (o ti ascolta) e al contesto. Ho incontrato Matteo Rizzato, formatore, docente e autore di testi divulgativi e pubblicazioni scientifiche sulle neuroscienze e sulla comunicazione empatica. Gli ho rivolto una domanda che riguarda il rapporto tra le parole e le emozioni.
Matteo, esistono parole capaci di emozionare più di altre?
Le emozioni sono ben conosciute, catalogate, al giorno d’oggi hanno ormai pochi segreti. Il bello è che sono soggettive, e ognuno le vive a modo suo. Una parola come “gioia” può evocare in qualcuno sentimenti di gioia, appunto, come in qualcun altro può addirittura generare rabbia. Ognuno ha un mondo interiore che interpreta e spesso trasforma le parole, le frasi, a seconda delle sue esperienze, cultura, credenze, ideologie e, addirittura, del contesto. Dobbiamo “ripulire” il più possibile le parole e allinearle alle emozioni che desideriamo generare in chi le legge.
Stupiscilo. Il consiglio di Francesco Addeo
Noi copy siamo d’accordo nel credere che con le parole si possano fare magie. Ma la penserebbe allo stesso modo un mentalista professionista? Be’, io me lo sono chiesto e ho incontrato Francesco Addeo, che lavora nel mondo dell’illusionismo da più di 15 anni e che ha scritto “Dietro la magia”, un libro sulla comunicazione in scena. Francesco mi ha confermato che comunicazione e magia hanno più di qualcosa in comune. E che quel qualcosa ha a che fare con l’inaspettato.
Francesco, qual è la prima regola per catturare l’attenzione del tuo interlocutore?
Rompere gli schemi della comunicazione. Fare qualcosa che chi abbiamo davanti non si aspetterebbe. Ci sono mille modi per rompere gli schemi e ognuno può trovare il suo ma, almeno per quanto mi riguarda, il “segreto” è questo. Ormai siamo assuefatti da tutto ciò che ci risulta comune e noto ed è per questo che chi si occupa di comunicazione, in scena o in aula o dappertutto, dovrebbe provare a stravolgere un pattern.
Sii sorprendente e pertinente. Il consiglio per la scrittura di microcopy di Luisa Carrada
I microcopy hanno un macro-ruolo: guidano il lettore, lo persuadono e ti aiutano a convertire. Ma bada: questo accade solo quando abbiamo a che fare con microtesti ben scritti. Per fare la differenza bisogna riservare loro cure e impegno. Sull’argomento ho interpellato Luisa Carrada, che di mestiere semplifica le scritture complicate e ne produce di chiare e naturali. A lei ho chiesto un esempio che ti aiuta a riconoscere un microcopy di qualità.
Luisa, ci fai un esempio di microcopy riuscito e ci spieghi quali sono le caratteristiche che lo rendono tale?
Pagina Non Trovata
Hmmm, pare che tu ti sia cacciato in un vicolo cieco, ma da bravo giornalista saprai trovare la tua fonte.
Continua a cercare!
È un messaggio di errore apparentemente sbagliato, perché non indica la strada né fornisce link per cavarsi di impaccio. Io però lo trovo sorprendente e pertinente, perché è il 404 di poynter.org, il sito di riferimento per i giornalisti digitali di tutto il mondo.
Ora sono io che ho due consigli da darti: se ami la scrittura non puoi perderti neanche un libro di Luisa Carrada. Consulta anche il suo blog.mestierediscrivere.com, perché è pieno di chicche.
Intrattienilo. Il consiglio di Anna Covone per presentazioni più coinvolgenti
Le storie coinvolgono, intrattengono e ci fanno innamorare. Ne sa qualcosa Anna Covone, esperta di YouTube marketing e di presentation design. Anna mi ha spiegato che anche una presentazione apparentemente noiosa può diventare avvincente se capace di raccontare una storia.
Questo approccio creativo al mondo delle presentazioni è tutto dentro il suo notemplate.it, un manifesto e una guida al presentation design. Ecco di cosa ho parlato con Anna.
Anna, quali sono gli elementi principali per creare una presentazione che sappia raccontare una storia?
Il mio consiglio è quello di trasformare le presentazioni da una semplice serie di informazioni a un racconto strutturato. Per farlo, non abbiamo bisogno di elementi da aggiungere, bensì di metodo e della capacità di creare associazioni tra gli argomenti. È importante imparare a visualizzare le singole slide di una presentazione come parti di un discorso più ampio che, dall’inizio alla fine, accompagnano lo spettatore verso la nostra meta.
Vuoi approfondire l’argomento? Anna ti consiglia di leggere il libro “Resonate” di Nancy Duarte, una vera esperta di presentation design.
Sii ironico. Il consiglio di Federica Fiorillo
Per conquistare più like sui social devi anche saper essere leggero e ironico. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto se sei il social media strategist di una banca. Federica Fiorillo lavora da cinque anni per BPER Banca, oggi nel ruolo di social media strategist, e ci dimostra tutti i giorni che sì, anche una banca può far divertire.
Federica, in quali casi l’ironia diventa una scelta strategica nella comunicazione di un brand?
L’ironia è una figura retorica molto importante nel linguaggio pubblicitario: consiste nel dire l’opposto di ciò che si vuole intendere, scatenando un effetto paradossale. Aiuta ad alleggerire l’immagine di un brand e produce molti effetti positivi sugli interlocutori. Tuttavia è necessario utilizzarla con molta cautela, perché l’ironia presuppone l’intelligenza di chi ascolta e perché non sempre ci troviamo in situazioni adatte a questo tipo di figura retorica.
Ad esempio, non sempre una situazione apparentamene divertente può far ridere: un uomo che inciampa su di una buccia di banana possiamo trovarlo divertente, ma se si tratta di un uomo anziano forse ridiamo meno.
Quindi: l’ironia è una cosa seria. Suscitare un’emozione positiva aiuta a creare un’apertura verso il brand, scavalcando le barriere e avvicinando le persone alla marca: fa quindi aumentare le vendite dei prodotti perché ci dispone in uno stato di ottimismo. Scherzare sui propri difetti, esercitando l’auto-ironia, è una tecnica pubblicitaria altamente persuasiva perché riesce a stupire l’interlocutore differenziandosi dalla classica pubblicità che mira a esaltare i punti di forza del brand mostrandolo come qualcosa di irreale e lontano dall’immaginario collettivo.
Gestisci le crisi senza perdere le staffe. Il consiglio di Vera Gheno
Si dice che l’amore non è bello se non è litigarello. Anche nel rapporto tra brand e consumatore possono esserci momenti di crisi. Ed è fondamentale che il social media manager che si trova malauguratamente a gestirli mantenga la calma e riesca a dissentire senza litigare padroneggiando la lingua. Di questo ho parlato con Vera Gheno – sociolinguista, docente universitaria e responsabile del profilo Twitter dell’Accademia della Crusca.
Vera, raccontaci qual è la regola d’oro per gestire una crisi sui social.
Ecco la mia regola d’oro, che in realtà sono tre:
Mai negare quello che è successo.
Cancellare, se è possibile, sapendo che molto probabilmente qualcuno avrà già fatto uno screenshot.
Mai dare la colpa, frignando, ad altri, ma assumersi le proprie responsabilità e, se è il caso, chiedere scusa.
Vera Gheno ha scritto “Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi)” e “Social-linguistica. Italiano e italiani dei social network”. Io ti suggerisco di leggerli entrambi, dalla prima all’ultima pagina.
Fallo ridere. Il consiglio di Alessio Logrippo
Se riesci a far ridere le persone parlando di un argomento tutt’altro che divertente, allora puoi considerarti un vero fuoriclasse. Alessio Logrippo, copywriter e fondatore di Peyote adv, ha portato le onoranze funebri Taffo alla popolarità attraverso campagne divertenti e irriverenti. Parlando di ironia, questo è quello che mi ha detto.
Alessio, come si impara l’arte dell’ironia? C’è una lettura che consiglieresti a chi vuole approfondire questo tipo di comunicazione?
Secondo me l’ironia non si impara, si nasce ironici, ci sono bambini che già da piccoli praticano il sarcasmo con un certo successo. Ma si può coltivare, se c’è terreno fertile.
Ci sono un paio di letture che mi hanno folgorato sulla via di damasco. Una è quasi introvabile, Filippo Scòzzari, “L’isterico a metano”, mentre Raymond Queneau e i suoi esercizi di stile hanno dietro un grande messaggio per i copywriter. E cioè che la stessa cosa puoi e devi saperla raccontare in mille modi diversi, a seconda del contesto, del prodotto, del paese, del target e del mezzo che hai a disposizione. La capacità o meno di farlo fa la differenza.
Io personalmente ho deciso di fare il copy quando mi sono posto la sfida di scrivere 10 poesie entro 10 giorni sui primi 10 oggetti che avrei trovato sul tavolino della cucina. Ci sono riuscito e allora ho deciso di provare, pensando che avrei saputo anche scrivere sotto pressione e non solo ispirato da chissà cosa. Non siamo mai noi a decidere quando e su cosa dovremo cimentarci.
Fatti ricordare. Il consiglio sulla creazione di naming di Daniela Montieri
Creare un naming efficace è uno dei compiti più difficili per un copywriter, ma è anche tra i più divertenti. Ne ho parlato con Daniela Montieri, copywriter, fondatrice di “Un posto al copy” e dell’Associazione Italiana Copywriter.
Daniela, ci fai un esempio di naming efficace e ci spieghi perché secondo te funziona?
Il mio consiglio per chi sogna di lavorare in comunicazione e per i giovani in generale è che non esistono trucchi, scorciatoie o “tool”, per dirla in modo più figo, che tengano. Questo vale per qualsiasi tipo di lavoro ma soprattutto per il naming, che è il tema del mio intervento a Play Copy di quest’anno.
L’unico “tool” di cui possiamo disporre è la nostra testa, ma un suggerimento per inventare nomi che funzionano c’è: dividere il problema in due. È una regola che trova molto spazio nel naming in particolare. Molti nomi efficaci infatti sono spesso la “crasi” di due elementi del problema. Dobbiamo pensare a un nome che metta insieme i concetti di rete e velocità? Arriveremo a FastWeb. Oppure un nome che descriva la nostra compagnia di bandiera? Alitalia. O ancora, dobbiamo trovare il nome del “re” dei fast food? Burger King. Questo non è l’unico modo di sviluppare un naming, ma se ci pensate dividere il problema in due è una soluzione che spesso può rivelarsi vincente. E anche divertente!
Mettici strategia. I consigli sulla content strategy di Miriam Bertoli
Prima ancora di impugnare la penna o affannarti sulla tastiera devi pianificare la tua strategia di content marketing. Devi avere tra le mani un progetto di lavoro, un piano di esecuzione e, solo dopo, puoi metterti giù a scrivere. Così si raggiungono i risultati che vuoi. Questo molto in sintesi, perché il discorso è un tantino più complesso, talmente complesso che ho sentito l’esigenza di farmi due chiacchiere con Miriam Bertoli, docente e consulente di digital marketing, specializzata nella definizione di strategie di marketing e di contenuti in ambiente digital. Sull’argomento ha scritto “Web marketing per le PMI”, un manuale dedicato in particolare alle piccole e medie imprese. Ecco quali sono i suoi consigli.
Miriam, come si misura la riuscita di una strategia di content marketing?
Il punto di partenza è verificare se sono stati raggiunti gli obiettivi che hanno guidato la definizione della strategia. Ho l’obiettivo di far crescere dell’x% le vendite di un e-commerce? Misurerò quanti utenti hanno raggiunto l’e-commerce partendo da elementi di contenuto e, una volta sul sito, hanno acquistato. Ho avviato un progetto editoriale per portare lead qualificati alla forza vendita? La strategia funziona se genera il numero di lead previsti come target. Indicatori e target da raggiungere vanno definiti in avvio, questo è molto importante. La portata delle azioni di content marketing sarà calibrata proprio in base a questi elementi.
Quanto tempo si deve aspettare per vedere i primi risultati?
Qui la risposta è il famoso “dipende”. Rispetto a una strategia che si fonda in modo esclusivo sulla generazione di risultati tramite campagne di advertising, una strategia di contenuti prevede tempi più lunghi. I contenuti prevedono tempi di ideazione e produzione, per cominciare, e molto dipende da quanto è affollato il settore in cui andiamo a inserirci. Se la distribuzione prevede modalità pull, come il posizionamento organico su Google o YouTube, possiamo attenderci dei risultati non prima di 4 mesi. Ma sto generalizzando, davvero. Quando definisco una content strategy per le aziende con cui collaboro valuto con attenzione l’elemento temporale – è un progetto che mira a costruire valore sul medio-lungo termine o l’azienda ha necessità di cominciare da subito a generare lead/vendite/dare supporto a clienti acquisiti/ecc? – e bilancio strategia, strumenti e piano operativo di conseguenza.
La tua sete di consigli non si è fermata qui, vero? Meglio così! Io posso suggerirti dove puoi approfondire tutti questi spunti e conoscere, ascoltare e vedere al lavoro i professionisti con cui ho chiacchierato in questo post, più altri ancora. Sto parlando di Play Copy, il convegno/workshop sul copywriting organizzato da noi di Pennamontata.