Conosci già la storia secondo cui la parola “crisi”, in cinese, è costituita da due caratteri che significano “pericolo” e “opportunità”? Be’, sembra che non sia vero (l’ho scoperto facendo ricerca per questo post), ma resta il fatto che la storiella racconta una verità: dietro la crisi può esserci un’opportunità. Anche quando un’azienda commette un errore. Tutto dipende da come la crisi viene gestita. A questo proposito ti invito a leggere l’e-book sul crisis management scritto da Valentina Falcinelli.
Qui, invece, voglio parlarti di copywriting e crisis management: esistono le parole giuste per salvare immagine e reputazione dal disastro, contenere le perdite, riconquistare la fiducia delle persone? Certo che sì, e ti mostrerò degli esempi da cui c’è da imparare.
Voglio prima farti vedere, però, come si struttura un comunicato stampa in caso di crisis management. Lo so, hai letto “comunicato stampa” e hai storto il naso, ma questo resta uno degli strumenti principali per far sapere al pubblico e ai giornalisti come ti stai muovendo di fronte alla crisi. Per questo devi sapere come si scrive un comunicato stampa per arginare la crisi.
Come si scrive un comunicato stampa per il crisis management
Sappiamo che la scrittura dei comunicati stampa risponde a delle regole precise. Quali sono quelle da osservare quando c’è in atto una crisi? Te le illustro prendendo come esempio un vero comunicato stampa.
Ricorderai lo “scandalo” delle polpette IKEA. Una veloce rinfrescata alla memoria: nel 2013 circolò la notizia secondo cui le polpette IKEA Köttbullar a base di manzo e maiale vendute in Repubblica Ceca erano contaminate da carne di cavallo.
Si scatenò il putiferio mediatico e IKEA Italia diffuse questo comunicato.
Se lo analizziamo, vediamo che sono presenti gli elementi che, “da prassi”, compaiono in questo tipo di comunicato. La struttura, qui in agenzia, ci ha fatto pensare a un panino:
- c’è una headline-cappello che evidenzia i fatti principali, e già qui il lettore frettoloso potrebbe chiudere il comunicato e andar via consapevole del fatto che IKEA ha bloccato la vendita delle polpette;
- segue un “ripieno” informativo, in cui si scende nei dettagli e si risponde alle famose 5 W;
- chiude il comunicato un’enunciazione dell’etica aziendale. È una sorta di perorazione che ha l’obiettivo di ricordare al pubblico “chi è IKEA” e, a sostegno della tesi, si presentano elementi di garanzia.
Seguire una struttura come questa aiuta a non uscire fuori dal seminato, col rischio di allargare la ferita; a mantenere la comunicazione chiara; a spianare la strada al messaggio che si vuole trasmettere.
Non so se hai notato che non c’è ombra di scuse. Qui IKEA Italia era ancora in fase di verifica; in seguito confermò che nelle polpette analizzate non c’era nessuna traccia di carne di cavallo. Insomma, in questo caso specifico le scuse non sono dovute.
Cosa fare, invece, quando il danno è confermato ed è pure bello grosso?
Sorry seems to be the hardest word
Elton John canta “mi dispiace sembra essere la parola più difficile”. E, infatti, spesso ci si gira intorno, ma le paroline magiche – “mi dispiace”, “scusa” – non le si pronuncia. Eppure sono le uniche che danno davvero “soddisfazione”. Rispondere giustificandosi, invece, serve a ben poco.
Il caso BlackBerry
Nell’ottobre del 2011 i servizi di posta elettronica, messaggistica e navigazione sui dispositivi BlackBerry si arrestarono per 3 lunghi giorni. Un disastro! Così come fu disastrosa la gestione della crisi dal punto di vista della comunicazione: da parte delle sfere alte dell’azienda, le prime a doversi fare avanti, il silenzio più assordante.
Il fondatore e allora co-CEO, Mike Lazaridis, si fece vivo, con un video, solo mentre la faccenda si stava risolvendo. Non mi soffermerò sull’analisi del video (che ricevette molte critiche), ma sullo script che c’è dietro. Qui sotto trovi la traduzione.
Questa settimana non ci siamo riusciti; non ci siamo andati nemmeno vicini. Chiedo scusa per l’interruzione dei servizi di questa settimana. Abbiamo lasciato molti di voi in difficoltà, ma vi assicuro che stiamo lavorando con tempestività per risolvere la faccenda.
Teniamo presente che in casi come questo le comunicazioni ufficiali passano anche sotto gli occhi dei legali. E non dimentichiamoci neanche che analizzare è di gran lunga più facile che fare. Ci tengo a specificarlo, perché vorrei che questo post non passasse come un “facciamo la critica a”, ma piuttosto come un “impariamo da… nel bene e nel male”. Detto ciò, queste sono le mie considerazioni:
- pur essendo presente un “mea culpa” in apertura, personalmente avrei scelto di tornare sulle scuse anche in chiusura, per lasciare i lettori con un messaggio più empatico e meno operativo rispetto al “Vi daremo presto nuove informazioni”;
- c’è un accenno di empatia verso i clienti – “so che questo può essere molto frustante” – che sappiamo essere una tecnica molto usata per colmare le distanze tra brand e persone;
- non si fa accenno alla causa del disservizio, quindi non c’è risposta alla W di Why?;
- non si chiede scusa per la risposta tardiva, altra cosa che ha fatto infuriare i clienti.
A ogni modo, quel che più pesa nel caso BlackBerry è il ritardo con cui il CEO ha mostrato la sua faccia al mondo.
Il caso Volkswagen
Negli ultimi giorni non si è sentito parlar d’altro. No, non mi riferisco a Miss Italia che vorrebbe vivere nel 1942, ma allo scandalo della Volkswagen. Riassumo in breve per i più distratti: secondo la United States Environmental Protection Agency (EPA), l’agenzia statunitense per la protezione ambientale, la Volkswagen avrebbe utilizzato un software truccato per passare i controlli sulle emissioni inquinanti delle sue automobili. Roba grossa, insomma.
Le conseguenze sul piano materiale sono ingenti, e il danno alla reputazione potrebbe essere addirittura insanabile. In casi come questi, come ci si muove sul piano delle comunicazioni ufficiali? Attenzione, qui non stiamo facendo il processo alla Volkswagen. Voglio solo portare alla tua attenzione un caso d’attualità per studiare assieme l’uso delle parole proprio quando sembra non ce ne siano di adatte.
Ho preso come esempio una dichiarazione fatta dal CEO dimissionario dell’azienda, Martin Winterkorn, in cui si legge:
Analizzando questi estratti, ho portato alla luce alcune considerazioni:
- le parole del CEO si muovono sull’asse emozione-azione: “Personalmente sono dispiaciuto dal profondo” e “Coopereremo appieno con le agenzie responsabili, con trasparenza e urgenza, in modo da stabilire in modo chiaro, aperto e completo tutti i fatti di questo caso”;
- si mostra consapevolezza: “abbiamo tradito la fiducia dei nostri clienti e del pubblico”;
- si dichiara come priorità recuperare la fiducia dei clienti e del pubblico: notate che la parola “trust” ricorre ben 3 volte, e ogni volta affonda come una lama (altro che dito) nella piaga;
- non c’è spazio per la giustificazione: zero presenza di proposizioni avversative.
Dal mio punto di vista questo comunicato trasmette l’umanità del brand. E forse è proprio questo il suo obiettivo principale.
Bocconcini a portar via per la comunicazione in caso di crisi
Per concludere ho preparato un piccolo sacchetto di takeaway:
- nei comunicati stampa di tipo informativo, attieniti alla struttura a panino;
- chiedere scusa – laddove l’azienda ha sbagliato – è doveroso;
- è bene dimostrarsi consapevoli della gravità del danno;
- la tempestività delle dichiarazioni da parte dei CEO influisce sull’efficacia della comunicazione.
Spero davvero che questo post possa esserti utile semmai dovessi ritrovarti a gestire la comunicazione di un brand colpito dalla crisi. Ricorda: ci sono sempre le parole giuste.
E adesso, se ti va, dimmi la tua: pensi che il copy possa aiutare a trasformare la crisi in opportunità?