Nella vita ho incontrato due tipi di professionisti. C’è il tipo alla Marco Stancati, un professore universitario a cui dai subito del tu, uno che ti regala followsunday col sorriso, che ti spiega il suo metodo e ti incanta con le sue parole e la sua mente, incredibilmente aperta, brillante, al passo-coi-tempi. Poi c’è il professionistadestocà, quello che non ti si haha (lo dico alla toscana per sembrare meno volgare) nemmeno in punto di morte. Il tuo punto di morte, s’intende. Quello che non risponde alle e-mail, che non perde occasione per ricordare a te e al mondo quanto è figo e quanto tu sei sfigato. Quello che, soprattutto, come hobby fa il demotivatore.
Esatto, il demotivatore. Io ho ricordi ancestrali di demotivatori danteschi. Personaggi impettiti come i tacchini del Giorno del Ringraziamento, farciti di boria e sotuttoiosaggine. Adesso, quando ne becco uno lungo il mio percorso, umano prima ancora che professionale, mi capitano due cose: mi si chiude lo stomaco, mi iniziano a tremare le vene nei polsi.
Il mio primo demotivational speech
Quand’ero ancora universitaria ebbi il (dis)piacere di conoscere un copywriter-tacchino che, con diligenza, mise subito in pratica con me il suo hobby preferito: il demotivational speech. Avevo 20 anni o giù di lì e così tanti sogni nel cassetto che avevo dovuto metterne la metà sotto il letto. Il demotivational copy mi rifilò, in 30 secondi precisi, tre frasette che ancora echeggiano nella mia testolina:
- Carmina non dant panem (maddai?).
- Se vuoi diventare copywriter, sei ancora in tempo a cambiare idea.
- Questo è un ambiente molto chiuso, settoriale e selettivo. Se non conosci, non entri.
AMEN fratello.
Uscii da quel colloquio terrorizzata, piccola come una lenticchia sola soletta nel minestrone della vita. Da allora, che di tempo ne è passato, cerco nel mio piccolo di essere tutto fuorché una professionista-tacchino. Non che io sia una santa, ecco. Ancora mi incazzo quando mi arrivano curricula allegati a una e-mail senza corpo, senza due righe due in croce di presentazione. Però rispondo a tutte le candidature che mi arrivano, con educazione. E non mi verrebbe mai da dire a un ragazzo che mi scrive speranzoso cose del tipo “Lascia stare, cambia idea”. Io non sono nessuno, letteralmente, ma anche se fossi “qualcuno”, resterei comunque la lenticchia nel minestrone di cui sopra.
Allora ecco, voglio dedicare questo post ai professionisti-tacchino che hanno dimenticato la lenticchia che c’è in loro. Per un attimo, amici glugluglù, provate a ricordarvi che i ragazzi hanno dei sogni e che voi non siete un hazzodiniente per dirgli di smettere di sognare. E di provarci. A voi, quindi, il mio manifesto del motivatore (che si aggiorna grazie ai contributi di voi, mitici lettori pennamontati). Leggetelo e cercate di farlo vostro.
IL MANIFESTO DEL MOTIVATORE
- Non apro porte, ma non ho neppure intenzione di chiuderle in faccia a nessuno.
- Se mi consideri un punto di riferimento, allora cercherò di meritarmi la tua stima.
- Non ti dirò mai di smettere di sognare. Cercherò piuttosto di aiutarti a coinvogliare le tue energie in un progetto concreto.
- Non ti dirò mai che hai sbagliato corso di studi, ma ti suggerirò come colmare le tue lacune.
- Se ho pubblicato millanta libri e ti dico che non conosco nessuno per farti fare uno stage in una casa editrice apri pure un account gmail a mio nome e scrivi a Feltrinelli raccomandandoti.
- Se ho fatto un passo falso e incolpo te che sei l’ultimo arrivato prendi coraggio e fammi notare che ho delle piume di tacchino che spuntano dai polsini.
- Se inizio a prendermi troppo sul serio, ricordami che lavoriamo nell’esplosiva creatività del Web e non all’Ufficio Sinistri.
- Se evidenzio un tuo errore per insegnare agli altri qualcosa, la prossima volta che esco dal bagno con la gonna incastrata nelle calze non mi avvertire: sarà una Lectio Magistralis senza un glugluglu di troppo.
- Sarò sincero se mi chiederai un’opinione. Ma se anche fosse negativa, fa’ in modo che per te sia uno stimolo. Non un freno.
- Anche io ho dei sogni. Se stronzeggio, è perché ogni tanto me ne dimentico.
- Se nel cassetto tutti i tuoi sogni non ci entrano, prestamene qualcuno e fammi provare l’adrenalina della tua età.
- Se ho la tua stessa età, e già stronzeggio, forse non merito davvero la tua considerazione.
- La tua età, la vedrò come un bagaglio non come un fardello.
- Quando mi scriverai un commento, una e-mail, un tweet ti risponderò. Magari non subito, ma posso sempre portarmi l’iPad nel cesso e risponderti nel momento del bisogno. Tanto non verrai mai a saperlo di come recupero i tempi morti della mia giornata.
- Hai un progetto? Non ti dirò di buttarlo nel cesso, dove di solito mi porto l’iPad. Ti consiglierò, piuttosto, di portarlo avanti. E di fargli prendere una “boccata d’aria fresca”.
- Se cercassi di farti cambiare idea, tu continua a difendere la tua. Magari riuscirai a farla cambiare tu a me.
- Dammi del lei. Ma solo per farmi capire che ho iniziato a stronzeggiare davvero. O se te lo chiedo e capisci che, tutto sommato, non sono un prof-tacchino.
E tu, come sei messo a professionisti-tacchino?
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