Ho deciso di scrivere un articolo sulle espressioni da usare il meno possibile quando si scrive o si parla: aggettivi inflazionati, formule astratte, tormentoni, strafalcioni. Insomma: plastismi della lingua. Questo articolo è iniziato con una lista, da cui è scaturita, a cornice, una piccola riflessione. Una riflessione che – ci tengo a precisarlo – non è di una linguista, ma di un’umile copywriter che ogni giorno si arrabatta con la lingua italiana, cercando di non farle troppi sgarbi.
Per scrivere questo articolo ho attinto alla “lezione” di Elisabetta Perini, che ha fatto della lingua italiana un oggetto di studio, ricerche e pubblicazioni – ti consiglio la sua “Grammatica italiana per tutti”. È stato anche grazie a lei se sono riuscita a dare una cornice più spessa a questo articolo.
La comunicazione efficace, quella gentile e onesta
La gentilezza apre al dialogo, alla comprensione, suscita fiducia ed empatia e, per questo, rende più efficace la comunicazione. In questa prospettiva, le parole diventano uno strumento potente: cambiamo le parole che usiamo per cambiare il comportamento delle persone. È un progetto ambizioso ma ognuno, nel suo piccolo, può fare qualcosa. Se sei un copywriter, o lavori nel mondo della comunicazione, tu puoi fare molto. Anzi, devi fare molto.
Ma qui parliamo di quello che non devi fare: produrre testi senza colore, uguali ad altri centomila, che leggi e dimentichi, che non dicono nulla perché trasudano banalità, formule vuote e attributi astratti che spesso vengono pescati e utilizzati per darsi un tono, o per celare l’assenza di un messaggio concreto. Il risultato? Si pensa di apparire più sofisticati e invece si passa solo per venditori di aria fritta. Sì, perché la scelta delle parole che usiamo la dice lunga su quanto siamo disposti a essere onesti. E non solo: la dice lunga anche su quanto siamo disposti a mettere a budget per assoldare un bravo copywriter!
Perché un’azienda deve definirsi “leader del settore” quando può parlare dei benefici che offre e riportare esempi? Perché per essere concreti, semplici e diretti bisogna avere qualcosa di reale da dire. E spesso quel qualcosa manca. Davanti a un “servizio a 360°” è lecito, soprattutto se a leggere è un occhio accorto, farsi venire qualche dubbio: cosa mi offri, veramente? Spesso queste formule stanche vengono impiegate per pigrizia, perché non ci si ferma a riflettere “un attimino” su quello che vogliamo dire e su quale sia il modo migliore per esprimerlo. La scelta delle parole giuste richiede ben più di “un attimino”, richiede impegno. Se sei un copywriter lo sai bene.
Plastismi. Cosa sono le parole di plastica?
Il termine “plastismo” descrive vividamente quel che sta accadendo alla nostra lingua: vocaboli ed espressioni vengono plasmati come materiale plastico per adattarsi a qualsiasi utilizzo, anche a quello sbagliato. Il “piuttosto che” usato con valore disgiuntivo ne è l’esempio più eclatante. Queste mode linguistiche, che nascono rapidamente e sono dilaganti, uniformano il linguaggio, impoveriscono il lessico e rendono la nostra lingua ripetitiva. Una lingua che invece conterebbe mille sfumature!
Basta aprire un quotidiano, ascoltare un telegiornale, la radio, consultare siti e blog aziendali per rendersi conto dell’imperversare di cliché linguistici. Questa poca creatività nell’utilizzo della lingua conduce a una perdita di efficacia nella comunicazione.
Chi è senza plastismo scagli la prima pietra!
In qualche plastismo siamo inciampati tutti, se non nello scritto, di sicuro nel parlato. Nessun libro nero dei termini proibiti, però! Perché non si può esser sempre così categorici. Se scappa un plastismo non scappa il morto – tanto per usare un tormentone –, ma forse scappa la possibilità di usare una parola più incisiva.
Ecco una lista di tormentoni, parole di plastica e strafalcioni:
- Servizio a 360°. L’ho sentito talmente tante volte che, a forza di ruotare di 360°, mi è venuta la nausea.
- A tutto tondo. Idem!
- Chiavi in mano. Quelle della macchina? Naaa! Anche quelle di un servizio.
- A stretto giro. Mi dici, per cortesia, quando?
- Leader del settore. Al leader del settore preferisco l’ultimo della classe.
- Senza soluzione di continuità. Un inutile groviglio di parole per dire semplicemente: non interrotto.
- Quello che è/quelli che sono. Per esempio: “Ti elenco quelle che sono le questioni del giorno” al posto del più rapido e diretto “Ti elenco le questioni del giorno”. Queste formule si usano soprattutto nel parlato. Allungano inutilmente il discorso e servono, il più delle volte, a prendere tempo e pensare a quel che si deve dire dopo.
- Detto questo. È un raccordo inutile tra una frase e la successiva.
- E quant’altro. Se hai davvero altro da aggiungere, fallo.
- Che te lo dico a fare, da paura, tutta la vita, una chicca. Tutte formule prese in prestito dal parlato, dal dialetto e dal gergo che sono diventate tormentoni. E i tormentoni non sono “chicche”, ma espressioni stanche e dozzinali.
- Signor nessuno. Magari non ce ne fosse “nessuno”: sono ovunque!
- Birrettina, caffettino, prosecchino, attimino. A forza di parlare per diminutivi diventiamo tutti un po’… stupidini.
- E allora ditelo! Appunto, lascialo dire a qualcun altro.
- Mai più senza. Meglio senza.
- Ne vogliamo parlare? “Ma anche no”!
- Non bello aka brutto.
- Assolutamente. Siamo sempre assolutamente d’accordo o in disaccordo su tutto. Quindi non funziona più.
- Spalmare. Tutto è diventato spalmabile. Si spalmano finanziamenti, crediti, debiti, interessi… e addirittura persone!
- Pesante come un macigno. Si può sapere quanto pesa questo benedetto macigno?
- Scenario. Lo scenario è ovunque, ha preso il posto della scena, del panorama, della prospettiva, dell’ipotesi, del progetto.
- A essere sinceri. Ah, quindi quelle di prima erano menzogne?
Ed ecco una lista di aggettivi dall’uso stereotipato:
- Il voto è utile.
- Il malessere è diffuso.
- L’immaginazione è vivida.
- La presa di posizione è netta.
- L’azienda è innovativa.
- Il servizio è rivoluzionario.
- Il modo è efficace.
- Il prodotto è il migliore.
- Le parole sono semplici.
- La scelta è definitiva o giusta.
- La formazione è interdisciplinare.
- La persona è solare.
- Il cambiamento è epocale.
- E tutto dev’essere impattante.
Tutte queste sono formule condivise e, proprio perché condivise, vengono impiegate per cercare consenso. In questo risiede la loro debolezza: sono rami morti del discorso che lo rendono più flaccido.
Elisabetta Perini ci fa due raccomandazioni importanti, che voglio condividere con te:
- Cercate di non copiare ciò che viene detto da altri solo per seguire una moda; così facendo vi terrete alla larga da tanti stereotipi linguistici che sono generici e, in fondo, anche inespressivi.
- Imparate a maneggiare un dizionario dei sinonimi e dei contrari, uno strumento antico ma non antiquato: vi aiuterà a scoprire che la lingua ha molto da offrirvi, con tante sfumature di senso che probabilmente si riveleranno più precise e più adatte a qualificare ciò che volete dire.
Grazie Elisabetta!